Laura Coppa

BLOG DI UN CURATORE EMOTIVO

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Divagazioni sul recital "Tra Futurismo e suoni contemporanei"

25.08.2012 21:30

 

Spiegare, raccontare, tradurre l'arte visiva in parole: solitamente è questo che  mi viene naturale fare. Posso fare la stessa cosa con la musica e l'interpretazione di versi futuristi? Premettendo che di tecnicismi come scale, tempi e successioni ne capisco ben poco. Amo la musica, come tutti e come pure gli animali e non potrei mai immaginare di vivere senza. Mi lascio rapire volentieri da una pièce teatrale, passi o poesie magistralmente recitati, ma oltre la percezione sensoriale ed emotiva non vado. Un'analisi fatta con lo stomaco e con la pelle. Anche perché, in una serata come quella che si è appena conclusa, orecchie, stomaco, pelle e cuore di tutti i presenti credo siano stati coinvolti, oltre a quelli della sottoscritta.

Come si può, in sostanza, raccontare una voce? Tutte le tonalità, le sfumature che concorrono nella recitazione di fonemi e parole in totale libertà come nella poesia futurista? I toni caldi, sferzanti, acidi, mentre la voce si slancia e si muove scattante e repentina fra suoni forti, robusti e timbri nasali e squillanti. Voce di testa e voce diaframmatica:

 

“Zuum, piru piru pirurù! Ma che poesia è mai questa?”

 

A bocca spalancata, divertita come una bimba che vede per la prima volta in vita sua un fuoco d'artificio. Salto sulla sedia quando squilla di colpo sonora e limpida, seguo senza respiro quella corsa di vocali aperte che dalle orecchie scivolano lungo la spina dorsale riverberandosi in ogni tendine e muscolo del corpo. Poi piano la voce sfuma, soave e senza incrinature, il suono finale porta via con sé un lungo respiro, svuotando i polmoni e rilassando la schiena contratta, quasi come fosse il tocco di una carezza lenta. Un continuo svuotarsi e riempirsi di suoni, di aria, e a dettarne i tempi è una marimba. Una marimba che sussurra sensuale, poi alza il tono e grida, vibra fin dentro le interiora giostrata da mani che l'accarezzano per violentarla poi, pur sfiorandola appena.

Batteria, grancassa, conga e rullante.

È con quest'ultimo strumento in assolo che nell'intera sala, ogni corpo si svuota dell'anima facendola diventare la stessa pelle che vibra sotto le bacchette. Due, per la precisione, ma che a momenti sembrano mille, e che in altri spariscono del tutto. Un nocciolo di oliva che cade ripetutamente con quell'umida leggerezza quasi impercettibile. Segue il battito cardiaco, rilassato, inerme. Poi è il ritmo del respiro a sintonizzarsi al suono e le pulsazioni lo seguono su, aumentando verso l'alto, fino a raggiungere un ritmo forsennato. Le mani ferme, immobili a dirigere quelle bacchette che a un certo punto scompaiono completamente dalla vista. Chiudi gli occhi e senti la forza di un plotone in avvicinamento rapido, la furia di un branco di purosangue che ti travolge nelle sua corsa impetuosa e folle. Li riapri a guardare e non vedi più quell'uomo che suona con tutto il corpo una musica travolgente. Ora si vede chiaramente. Si vede il corpo di un uomo nelle cui vene scorre la musica pura... e SACRA.